(articolo tratto e liberamente tradotto da https://www.psychologytoday.com/us/blog/my-life-aspergers/201910/is-autism-becoming-neurodiversity )
E’ appropriato parlare di neurodiversità quando si parla di autismo?
Questa è la domanda che le persone si pongono, in un periodo storico in cui, sempre più spesso, si parla di tutela delle persone con diagnosi di autismo e si discute – purtroppo non sempre in modo appropriato – di tale condizione. Personaggi pubblici e noti al grande pubblico, come Greta Thunberg, stanno sempre più spesso parlando della diagnosi di autismo ricevuta, e guardando a questi personaggi e alla loro vita le persone scoprono come l’autismo non è per forza associato a disabilità grave e invalidante, ma che in moltissimi casi si tratta di un modo diverso di pensare e di percepire il mondo e le relazioni sociali.
E’ pertanto lecito domandarsi se il termine “disturbo” associato al concetto di autismo sia ormai superato, dato che sempre più spesso viene sostituito con il termine “neurodiversità”.
La dicitura “disturbi dello spettro autistico” è una dicitura prettamente medica (e che lentamente verrà sempre meno usata), volta ad indicare una condizione neurologica che, se associata a ritardi cognitivi e ad altre comorbilità, altera la comunicazione e il comportamento, fino ad essere associata nei casi più gravi a disabilità intellettiva o a comorbilità psichiatriche.
Il concetto di “neurodiversità”, invece, trasmette l’idea che esiste una vasta gamma di diversità neurologiche all’interno di quella che potrebbe essere chiamata la “normale gamma delle caratteristiche umane”, e che include una percentuale significativa degli assetti neurologici che i medici diagnosticano come autismo, ADHD, dislessia e altre condizioni.
L’autismo e la neurodiversità stanno rapidamente diventando due paradigmi alla luce dei quali analizzare le caratteristiche neurologiche di ciascuna persona. Finora infatti, quando si parlava di autismo, veniva usato un paradigma esclusivamente medico, volto a sottolineare solo i disturbi manifestati dalla persona, le possibili disabilità conseguenti e le basi biologiche sottostanti. Recentemente invece i clinici e le stesse persone autistiche stanno iniziando a riconoscere che tale condizione può anche offrire risorse e peculiarità cognitive, a patto però che si esca da un approccio esclusivamente focalizzato sui deficit di cui la persona può essere portatrice, andandone piuttosto a scoprire i punti di forza. Finora, parlando di autismo, ci si è sempre concentrati su “ciò che non va”, mai sulle qualità e i talenti della persona, presenti proprio grazie alla condizione di neurodiversità.
“Neurodiversità” è una parola che è emersa dalla stessa comunità delle persone autistiche, in gran parte come risposta al modo in cui le strutture deputate al trattamento della salute mentale diagnosticano e trattano tale condizione, patologizzandola e cercando di “normalizzare”, attraverso molte e discusse “cure”, l’ampia fascia di popolazione che si riconosce in tale categoria. La neurodiversità, secondo la visione adottata oggi dall’intera comunità di persone autistiche e con altre neurodivergenze, è una delle tante differenze che distinguono le persone l’una dall’altra, e non per forza si associa a una disabilità o a una condizione che necessita di trattamento: considerarsi portatori di diversità (al pari dell’omosessualità o di una differenza culturale ed etnica) trova numerosi consensi presso tutti coloro che vivono quotidianamente le difficoltà legate alle interazioni sociali – peculiarità tipica dell’autismo – ma che al tempo stesso si considerano portatori di doti e talenti personali, dovuti proprio alle caratteristiche neurodiverse.
Tuttavia non va dimenticato come tale concettualizzazione dell’autismo sia tutt’ora oggetto di accese discussioni: accanto a persone che rivendicano il proprio diritto ad essere “neurologicamente diversi”, esistono individui che considerano la propria condizione di persone autistiche come una disabilità con caratteristiche invalidanti. Inoltre, anche i familiari che convivono con un figlio o un parente con diagnosi di autismo a basso funzionamento e con ritardo mentale associato vedano tale condizione come una grave disabilità per cui è doveroso cercare trattamenti e “cure” e non come una sana diversità.
È importante riconoscere che queste sono prospettive differenti per persone con diverse condizioni, e che l’una non può escludere l’altra. Si potrebbe pensare che entrambe le definizioni possano coesistere, ma molte persone in ciascun gruppo non sono d’accordo. Coloro che considerano l’autismo un grave problema e una disabilità credono che la neurodiversità banalizzi l’autismo e le difficoltà anche gravi che in alcuni casi si associano ad esso. Dall’altra parte i sostenitori del concetto di neurodiversità sono persone con buoni livelli cognitivi e con alti livelli di autonomia, che spesso hanno ricevuto diagnosi di autismo di livello 1 o di Sindrome di Asperger (secondo il vecchio manuale diagnostico DSM – IV) . Queste persone sottolineano come loro stessi e le altre persone autistiche potrebbero stare meglio con una società più inclusiva e solidale, in cui l’essere “diversi” anche nel modo di percepire e ragionare dovrebbe essere visto come un vantaggio e un arricchimento per tutti, e non etichettato esclusivamente come “handicap”.
Coloro che sostengono l’adozione del concetto di neurodiversità credono anche che parlare di diversità e non di disabilità o malattia permetta di comprendere meglio una persona, che altrimenti potrebbe essere etichettata a livello diagnostico come avente numerose caratteristiche appartenenti a svariate diagnosi psichiatriche, come ansia, depressione, disturbo ossessivo compulsivo o disturbi di personalità. Dietro il concetto di neurodiversità, pertanto, spesso vi è il desiderio, da parte delle persone con autismo ad alto funzionamento e “gifted”, di allontanarsi dallo stigma negativo che deriva dalle etichette psichiatriche, che anzi spesso nel caso di persone con funzionamenti estremamente alti vengono affibbiate in modo erroneo prima della diagnosi di autismo, comportando quindi spesso anche molti anni di terapie lunghe ma poco utili, poiché basate su un approccio che legge le peculiarità della persona autistica come derivanti da una patologia psichiatrica, e non come facenti parte del loro personale e unico modo di ragionare.
In ogni caso, è bene ricordare che tali discussioni derivano dalla complessità nel descrivere in modo univoco l’autismo: essendo non una patologia ma una variante della specie umana, non è né possibile né opportuno semplificarne la descrizione. Come per le persone neurotipiche, anche nelle persone con neurodiversità ci sono individui “gifted”, per cui tale condizione è una semplice caratteristica che ne descrive il funzionamento, ma ugualmente esistono individui in cui la neurodiversità si accompagna a un quadro di forti difficoltà, tali da pregiudicarne la vita autonoma.
E voi cosa ne pensate? Conoscevate il concetto di “neurodiversità” e le molte sfaccettature connesse alla condizione di autismo?
Se sei una persona con autismo o un suo famigliare, o se sospetti di esserlo, puoi contattarmi al numero 347.7663708 o tramite la pagina “contatti” di questo sito, sarò lieta di fornirti maggiori informazioni.